Come controllare la paura degli attacchi terroristici in vacanza
Con l’avvicinarsi della fine di luglio siamo tutti quasi pronti per partire e goderci le meritate vacanze dopo un anno di duro lavoro. Spesso accade che, in questo particolare momento, i pazienti portino la paura di eventuali attacchi terroristici, la paura di allontanarsi dalla routine, dai luoghi conosciuti e anche dalla stanza di analisi, il partire richiama l’insicurezza e l’incertezza di quello che ci aspetta.
Alcuni pazienti rinunciano ad andare via, preferiscono rimanere a casa nelle proprie sicurezze domestiche.
La preoccupazione di un attacco terroristico la conosciamo tutti, l’undici settembre, Charlie Hebdo, gli attentati di gennaio a Parigi ci hanno contagiato, difficile non pensare che possano riaccadere.
Siamo molto più attenti ai posti e luoghi che scegliamo per passare il nostro tempo. Si può pensare al terrore come al confine limite della cultura. La cultura è la costruzione di un mondo addomesticato, familiare nel quale ci riconosciamo, sappiamo cosa aspettarci dal mondo e dai legami sociali. Il terrore è il venir meno di queste condizioni, lo sprofondare in un caos dove non ci sono punti di appiglio.
Lo psicanalista W. R Bion facendo riferimento alla relazione madre-bambino ha descritto la condizione psichica di “terrore senza nome” che si verifica quando il neonato è lasciato solo con le sue angosce di morte e di frammentazione a causa di un deficit nella relazione primaria, per cui non funziona adeguatamente quella che viene definita la reverie materna, che consente di contenere, elaborare queste angosce restituendole alla bambino in una formula bonificata e tollerabile.
Fatte le dovute differenze, si ha la sensazione che fatti gravi come recenti attentati creino una sorta di implosione che rischia di creare corti circuiti di “pensiero sociale” tali da indurre prevalentemente reazioni ed azioni e tutto senza un pensiero. Per Bion il passaggio degli elementi beta a quelli alfa mette in gioco la capacità di pensare. Cosa fa la buona madre capace di favorire questo passaggio? La madre trasforma le emozioni senza nome in pensiero raccontando storie. Di fronte all’angoscia e al terrore abbiamo sempre bisogno di storie che ci consentono di dare un volto e un senso al pericolo. Il pensiero diventa fondamentale, la violenza quando è razionale, pianificata, programmata come è tipico di tutti gli stermini della storia non ha un pensiero e dove non c’è un pensiero non c’è umanità possibile.
La stanza di analisi e il setting terapeutico diventano gli spazi adeguati per trovare parole e pensieri a queste paure e a questo terrore, dare un volto a quello che ci minaccia, che non ci fa sentire al sicuro, per permetterci di trovare il coraggio di sfidare queste paure, di continuare a viaggiare, di sentirci liberi.
Ci ritroviamo a settembre
La vostra psicologa Federica